Una recente pronuncia della Corte di Cassazione italiana ha ribadito un principio fondamentale in materia di assegno di mantenimento e assegno divorzile.
Il 17 settembre 2025, con l’ordinanza n. 25523/2025, è arrivato l’ennesimo chiarimento a proposito delle fondamentali differenze tra i due istituti e le condizioni che ne regolano l’erogazione. A livello tecnico, l’assegno di mantenimento è il contributo economico che un coniuge versa all’altro durante la fase di separazione legale. L’assegno divorzile, invece, si applica solo dopo il divorzio definitivo. I due strumenti non sono sovrapponibili e rispondono a logiche differenti, sia per finalità che per durata e criteri di calcolo.

L’assegno di mantenimento ha di base lo scopo di garantire al coniuge economicamente più debole un tenore di vita simile a quello goduto durante il matrimonio. Per ottenerlo, è necessario dimostrare un reddito insufficiente a mantenersi autonomamente. Il giudice valuta dunque il reddito e il patrimonio di entrambi i coniugi, il tenore di vita matrimoniale e la presenza di eventuali figli a carico. Dopodiché, questo tipo di assegno cessa con il divorzio.
L’assegno divorzile, invece, ha ragione di essere solo quando il vincolo matrimoniale è definitivamente sciolto. Non mira più a conservare il tenore di vita precedente, ma a favorire l’autosufficienza economica del coniuge meno agiato. Può essere revocato o non riconosciuto affatto, in base alla situazione concreta. Secondo l’orientamento attuale, l’ex coniuge può richiederlo solo se è oggettivamente impossibilitato a mantenersi da solo o se ha dato un contributo rilevante alla vita familiare e alla carriera dell’altro coniuge, sacrificando così la propria indipendenza finanziaria e lavorativa.
La pronuncia della Cassazione che chiarisce le differenze fra assegno di mantenimento e assegno divorzile
La Corte di Cassazione, in una pronuncia del settembre scorso, ha stabilito che il coniuge beneficiario dell’assegno divorzile può perdere automaticamente il diritto al contributo. Ciò avviene qualora dovesse rifiutare un’offerta di lavoro ritenuta congrua rispetto alle sue competenze e alle condizioni personali. E questo vale anche se l’assegno era stato precedentemente riconosciuto.

Il caso specifico riguardava una donna divorziata che aveva rifiutato un’offerta di lavoro stabile e compatibile con il suo profilo. Il tribunale ha interpretato il rifiuto come una volontà di non attivarsi per raggiungere l’autosufficienza economica. Da qui la revoca dell’assegno. La Cassazione ha confermato questa lettura: il rifiuto ingiustificato comporta la perdita automatica del diritto all’assegno divorzile, senza necessità di ulteriori valutazioni.
È importante sottolineare che questa regola si applica esclusivamente all’assegno divorzile. Per quanto riguarda l’assegno di mantenimento, la giurisprudenza continua a tutelare in modo più ampio il coniuge economicamente più debole, soprattutto in presenza di figli o di una condizione di fragilità accertata.





